Bimbo di 7 anni con complicanza da Covid-19: un caso di MIS-C

malattia infiammatoria sistemica

Il raro coinvolgimento cardiaco 3-4 settimane post-Covid, prevalente in fascia 5 -10 anni, con sintomi iniziali simil-gastroenterite o appendicite

Questa terza ondata ha portato la rara e temibile complicanza pediatrica da Covid-19 anche qui nel mio piccolo ospedale periferico di Ariano Irpino.

Un meraviglioso bimbo di 7 anni, il piccolo Sandro (nome di fantasia), con iniziale coinvolgimento cardiaco dovuto alla rara quanto temibile Malattia Infiammatoria Sistemica da Covid-19 (MIS-C), prontamente sospettata dal mio collega di reparto Alberto Casertano e dalla responsabile Patrizia Tedesco.

Ed è per me inevitabile prenderne nota qui: è doveroso per ricordare quanto questa patologia sia subdola e impertinente.

E quanto sia necessario prestare massima attenzione ai principali segni che distinguono la MIS-C da una comune gastroenterite, come la congiuntivite, il rash cutaneo aspecifico e la mucosite con fissurazione di bocca e labbra, oltre all’elevazione degli indici di flogosi, del BNP e talora anche altri enzimi cardiaci.

L’infezione da Covid-19 (che precede la MIS-C solitamente di 3-4 settimane) può essere nota o meno alla famiglia.

Nell’esperienza Bergamasca infatti molti di questi bambini avevano già risolto il virus (decorso spesso in forma del tutto asintomatica e misconosciuta) per poi esordire dopo alcune settimane direttamente coi sintomi della MIS-C senza mai aver avuto i sintomi del Covid-19!

E sempre nell’esperienza Bergamasca (vedi fonti a fine articolo) non è mancato in alcuni casi il grave coinvolgimento cardiaco, con necessità di cure intensive.

E ancora, i colleghi di Bergamo sono stati tra i primi ad aver raccontato a noi pediatri di tutta Italia (e credo anche del mondo) come approcciare e curare questa patologia, per fortuna risolvibile nella maggior parte dei casi.

Pur se gli esiti a distanza della MIS-C non sono ancora noti essendo una malattia nuova.

Primi sintomi e decorso del piccolo Sandro

Infezione da Covid-19 avuta a Marzo 2021, lievemente sintomatica (lieve rialzo febbrile e raffreddore) con ben 2 tamponi negativi a testimoniare la guarigione dal virus già nella prima decade di Aprile.

Ma la MIS-C, come detto, si fa attendere qualche settimana prima di insinuarsi nei bambini in forma dapprima simil-gastroenterica e poi via via assumendo la sua peculiare fisionomia.

Il piccolo Sandro aveva cominciato con diarrea e dolore addominale l’ultima settimana di Aprile. Dopo 4-5 giorni, per il mancato miglioramento si rivolgeva presso il nostro pronto soccorso di Ariano Irpino.

Il quadro clinico caratterizzato da dolorabilità alla palpazione, lo stato di sofferenza, la modesta elevazione degli indici di flogosi (VES e PCR) e globuli bianchi oltre che il quadro ecografico, non permettevano complessivamente di escludere un possibile esordio di appendicite.

Per tale ragione i colleghi pediatra e chirurgo di guardia all’ingresso a ricovero impostavano un’antibioticoterapia a protezione del piccolo in attesa che il quadro diventasse più chiaro.

Con l’avvio dell’antibiotico in vena si assisteva anche a timidi segnali di miglioramento: discesa degli indici di flogosi (PCR in calo) e un bimbo che per la prima volta dopo 24 ore di ricovero si alzava dal letto per passeggiare.

L’improvviso viraggio del quadro clinico verso la MIS-C

Ma nonostante tali primi timidi segnali di miglioramento, il rapido deterioramento del quadro clinico era lì dietro l’angolo mostrandoci quanto la MIS-C pediatrica può essere subdola e ingannevole.

Dopo circa 36 ore dal ricovero (6 giorni in tutto dall’esordio della diarrea) ecco il primo segno suggestivo di MIS-C: congiuntivite con edema periorbitario (in parole semplici: occhi decisamente rossi e gonfi).

A ciò si accompagnava un quadro proteico ematico che, sebbene fosse nella norma fino al giorno prima, cominciava tutt’a un tratto a tendere verso l’ipoalbuminemia.

L’albumina è un’importante proteina del sangue prodotta dal fegato. Quando però c’è uno stato di infiammazione sistemica ingravescente, essa tende spesso a ridursi, un po’ perchè il fegato deve “investire” risorse nella produzione di altre proteine (le cosiddette “proteine di fase acuta”), un po’ perchè viene talora “dispersa” dagli organi infiammati.

Tutto ciò induceva il collega di guardia Alberto Casertano a sospettare la MIS-C eseguendo prontamente un eco-cuore, che dimostrava una piccola iniziale falda di pericardite.

Trasferimento a struttura deputata alle cure del caso

Di qui l’accordo col gruppo dei colleghi del Santobono di Napoli, che ha ormai da mesi maturato grande esperienza su questa patologia, e il rapido trasferimento del piccolo per le cure della MIS-C che in generale consistono in:

  • immunoglobuline endovena
  • acido acetilsalicilico
  • ove necessario, boli cortisone

Nell’esperienza dei colleghi di Bergamo fortunatamente ci è stato raccontato un rapido miglioramento delle condizioni dei bambini colpiti da questa complicanza del Covid-19 dopo aver impostato terapie come quella sopra descritta.

E l’auspicio di tutti noi è che anche il piccolo Sandro abbia un’ottima risposta alle terapie.

Frequenza della MIS-C nei bambini

Quanto è frequente tale complicanza pediatrica da Covid19?

Dalle prime stime riportate nell’articolo di Bergamo citato in basso tra le fonti la rarità di tale patologia sembrerebbe attestarsi su 1:100.000 nella fascia di età inferiore a 21 anni, con una prevalenza all’età media di 7 anni e mezzo.

Dunque una condizione pediatrica fortunatamente rara in percentuale, ma che emerge a ogni ondata in modo spiacevole per l’aumento in valore assoluto dei numeri dei contagi.

E dunque una ragione in più per non esitare a vaccinare, anche perchè è chiaramente emerso durante tutta l’epidemia che i bimbi il virus lo prendono più spesso a casa che a scuola.

Avere adulti vaccinati è un modo per proteggerli.

Le mie solite riflessioni sulle difficoltà degli ospedali periferici italiani

Accade spesso nella nostra professione che il medico si trovi di fronte a un’impasse (situazione senza vie d’uscita).

Tali situazioni le ho vissute personalmente molte volte in diversi ospedali presso cui ho lavorato negli ultimi 15 anni, specie quelli a maggior carenza di personale.

In sostanza: può un pediatra in turno da solo in uno dei tanti ospedali periferici italiani in carenza di personale, lasciare scoperta la sua guardia al punto nascita, pronto soccorso e reparto, per accompagnare un piccolo in condizioni critiche verso una struttura specializzata e magari munita di rianimazione in caso di peggioramento?

Ecco, questi sono i vicoli cechi della nostra professione.

Situazioni che si verificano in ambito pediatrico ma non solo: rischio un ritardo nel trasferimento di un paziente critico che sta peggiorando oppure rischio di lasciare scoperta la guardia pediatrica senza sapere se di lì a 10 minuti arriva un altro bimbo grave o parto complicato?

Io personalmente sceglierei di dedicarmi al bambino critico che ho già lì in quel momento… ma la mia scelta non fa testo, nè mi solleva da tutte le possibili ipotetiche responsabilità derivanti dal lasciare una guardia scoperta.

Se infatti dovesse accadere qualcosa di grave durante la mia assenza dalla guardia, mi chiedo se qualcuno possa poi un giorno venirmi a dire (col privilegio del “senno di poi”): “Ma guarda, il bambino era ancora in condizioni stabili, i parametri erano ancora buoni, non eri completamente giustificato a lasciare il turno di guardia“.

Al che io risponderei d’istinto: “Ma prevedevo un peggioramento rapido di lì a poco! Dovevo attendere peggiorasse?”

E questo PM immaginario magari mi risponde: “Si ma era solo una tua previsione che peggiorasse, non un dato di fatto”.

Situazioni che si verificano di continuo nel lavoro dei medici, nelle quali ogni tua mossa (in un senso o nell’altro) può costituire un possibile misfatto.

E tali situazioni di impasse sono gravate da un’enorme presa di responsabilità personale, qualunque sia la tua scelta.

Ed è proprio in questi momenti che (come nelle antiche tragedie del teatro latino) sei lì a sperare che arrivi da un momento all’altro un provvidenziale Deus ex Machina calato dall’alto che risolva tutto.

E il Deus ex Machina della storia del nostro piccolo Sandro è stata la responsabile di reparto Patrizia Tedesco che, pur se fuori turno e pur se recenti leggi impongono di non superare le 13 ore di servizio in una giornata, non ha esitato ad accorrere in supporto in ospedale per il bene del piccolo.

E un caso puramente fortuito vuole che la collega non fosse fuori zona in quelle ore ed è riuscita a recarsi in ospedale.

Può il SSN fondarsi su fortuna e spirito di abnegazione del personale?

O meriteremmo forse una riorganizzazione post-pandemica su scala nazionale?

Io mi auguro vivamente che nell’ambito di una possibile riorganizzazione post-pandemica del sistema sanitario si crei una turnazione dei colleghi tra ospedali centrali e strutture periferiche, così da evitare situazioni di iper-afflusso di medici in poche strutture centrali con gravi carenze nelle periferie.

Carenze che di certo riguardano le pediatrie italiane da Nord a Sud, ma anche altre specialità.

Carenze che spesso non dipendono neanche dalle varie ASL che, pur bandendo concorsi, si ritrovano a fare i conti con la scarsa motivazione dei medici che vanno via dalle strutture periferiche.

A tal proposito non posso non encomiare quanto ho visto fare nel sistema sanitario provinciale Trentino (nel breve periodo che ho lavorato lì): i colleghi di Trento (struttura centrale) dovevano necessariamente coprire anche turni negli ospedali delle valli periferiche.

Ciò comportava non solo una garanzia per tutti i cittadini delle valli circostanti, ma anche un flusso continuo di informazioni e conoscenze tra colleghi delle grandi strutture centrali e quelli delle periferie.

Se lo fanno in Trentino, vuol dire che è una cosa che si può fare.

Sarebbe dunque a mio avviso auspicabile che la politica nazionale investisse idee e risorse per implementare simili dinamiche in tutte le regioni italiane che possiedono periferie sanitarie in corso di “desertificazione” del personale con rischio e pericolo non solo per chi vi lavora ma anche e soprattutto della popolazione assistita.

La salute va garantita per tutti o solo per chi vive nelle grandi metropoli?

Dott. Raffaele Troiano (seguimi su Facebook)

Fonti

  • Verdoni et al., Dalla Kawasaki Disease alla MIS-C: l’esperienza di Bergamo – Rivista “Quaderni ACP” – Vol. 28, Marzo-Aprile 2021
  • Foto di mohamed Hassan da Pixabay

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